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Per Aspera Ad Veritatem n.12
La tutela processuale del segreto di Stato tra interventi giurisprudenziali e proposte di riforma

Giuseppe Riccio e Gianlorenzo De Stefano - (in "Politica del Diritto", n. 3, settembre 1998, pagg. 383-406)





L'articolo che qui si commenta costituisce una lucida ed articolata disamina di una recente sentenza della Corte Costituzionale - n. 110/98, pubblicata sul n. 10 di questa Rivista - resa in esito ad un conflitto di attribuzione fra poteri dello Stato, sollevato dall'Esecutivo nei confronti della Procura di Bologna, in relazione ad attività istruttoria da questa svolta, elusiva degli effetti dell'opposizione e conferma del segreto di Stato.
La vicenda giudiziaria si segnala, oltre che per le implicazioni di natura politica e/o istituzionale, anche perché rappresenta il primo caso di attivazione dello strumento costituzionale del conflitto di attribuzione - tradizionalmente concepito ed utilizzato a garanzia della funzione giurisdizionale - da parte dell'Esecutivo per "arginare" il potere giudiziario.
Gli sviluppi giudiziari del caso hanno fornito agli Autori un proficuo spunto di riflessione su alcuni rilevanti aspetti della disciplina processuale del segreto di Stato, la cui tutela, ancorché poco esplorata dalla dottrina, risulta densa di problematicità, soprattutto avuto riguardo alle significative innovazioni introdotte in tema di disciplina delle prove dal nuovo codice di procedura penale di ispirazione accusatoria.
In sintesi, le problematiche affrontate, ed esaminate con riferimento alle varie posizioni registrabili in dottrina, sono riconducibili ai seguenti due filoni:
– ambito di applicazione del procedimento incidentale di interpello ex art. 202 c.p.p.;
– poteri valutativi del giudice a fronte dell'opposizione di un segreto di Stato e natura ed effetti del divieto probatorio inerente all'eccezione di segretezza.
Per quanto concerne la prima delle problematiche indicate, si pone in particolare l'interrogativo se l'opposizione di un segreto di Stato da parte di un "indagato" o anche di un "imputato" comporti l'attivazione dell'incidente di conferma, atteso che la normativa fa esclusivo riferimento all'ipotesi dell'eccezione di segretezza sollevata dal "testimone". In merito, argomentando su un piano sistematico, si conclude per la tesi negativa.
Per quanto riguarda la seconda problematica, gli Autori sposano quell'orientamento largamente diffuso in dottrina e ritenuto conforme al dettato normativo, nonché al "dictum" della Corte Costituzionale, secondo cui è inibita al giudice la valutazione della fondatezza dell'eccezione di segretezza, competendo allo stesso esclusivamente la verifica circa l'essenzialità della prova per la definizione del processo.
Precipua attenzione viene quindi riservata all'interrogativo fondamentale posto dal ricorso del Presidente del Consiglio e risolto in modo esemplare dalla Corte Costituzionale: quello relativo alla natura ed ai conseguenti effetti del divieto probatorio contenuto negli artt. 202 e 256 c.p.p..
In buona sostanza, gli Autori evidenziano come la soluzione che appare coerente, oltre che con il modello normativo dell'art. 202 c.p.p., anche con i principi a suo tempo espressi dalla Corte Costituzionale, sia quella che riconosce connotazione "oggettiva" al limite probatorio imposto dal segreto di Stato, sulla base dell'assunto che l'inammissibilità della prova dipende dal "thema probandum" che è escluso di per sè dall'attività istruttoria e non dalla qualità funzionale di chi detiene il segreto, aspetto questo che risulta del tutto irrilevante.
In altre parole, la tutela apprestata dal segreto di Stato non riguarda soggettivamente coloro i quali sono chiamati a deporre, ma è volta ad inibire all'Autorità Giudiziaria l'acquisizione ed il conseguente utilizzo degli elementi di conoscenza e di prova coperti dal segreto.
Tale situazione viene esemplificata con il concetto di "impermeabilità" del processo a fatti, notizie etc. coperti dal segreto di Stato, nel senso che questi ultimi non possono con nessun mezzo essere assunti al processo. Ne consegue l'impossibilità di definire un processo a causa dell'esistenza di un segreto di Stato se esso risulta oggetto di una prova essenziale al giudizio e non perché non possa assumersi una testimonianza o parte di essa.
Il pregio della sentenza viene conclusivamente colto, oltre che nell'individuazione di una soluzione segnata da un giusto equilibrio, in cui trova spazio la salvaguardia di risorse e ruoli diversi, anche nell'aver segnalato la necessità di una riforma che introduca quelle ipotesi di immunità sostanziale collegata all'attività dei Servizi Informativi, che opportunamente sottragga alla disciplina processuale del segreto di Stato l'improprio compito di "scriminante" di fatto.
Si sottolinea, infine, che sulla medesima vicenda, a seguito della reiterazione, da parte della medesima Procura, di richiesta di rinvio a giudizio ritenuta elusiva, oltre che degli effetti del segreto di Stato, delle statuizioni della Corte Costituzionale di cui alla pronuncia predetta, la Consulta ha reso recentemente, in esito ad un secondo conflitto di attribuzione sollevato dal Presidente del Consiglio, un'altra sentenza, la n. 410/98, pubblicata in altra sezione di questo numero, che sostanzialmente ribadisce quanto precedentemente affermato, annullando la predetta richiesta di rinvio a giudizio.



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